|
Se il tempo deve finire, lo si può
descrivere, istante per istante,- pensa Palomar,- e ogni
istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più
la fine. (1) Italo Calvino
Rosso Fango del regista Paolo
Ameli è un film profondamente e strutturalmente dialettico, a
cominciare dal titolo: da una parte il Rosso, colore del corpo
umano, che richiama la vita, il sangue, dall'altra il Fango,
la terra, che evoca l'immobilità, l'oscurità e la morte.
La storia, basata su un fatto realmente
accaduto, racconta un episodio singolare della prima guerra
mondiale. Durante una battaglia sul territorio francese, un
soldato inglese, a causa di un'esplosione, viene sbattuto
dentro un cratere fangoso e, senza nemmeno il tempo di capire
dove sia finito, si ritrova di fronte un tedesco che gli punta
contro il fucile. Questi cerca di sparare ma l'arma fa
cilecca. L'inglese reagisce prontamente e con un coltello
ferisce il tedesco. Potrebbe dargli il colpo di grazia, ma
esita. In un primo momento cerca di uscire dalla pozza d'acqua
putrida, ma la battaglia infuria e per ben tre volte è
costretto a rinunciare. Intanto il tedesco, gravemente ferito
ma sempre cosciente, comincia a urlare per il dolore. Il
soldato inglese sembra non riuscire a sopportare più le grida,
prende il fucile come per sparare ma ad un tratto ripensa a
tutto ciò che sta accadendo. Ripensa ai morti, ai feriti, al
sangue. Decide così di salvare il nemico, curandone le ferite,
prima di abbandonare la trincea. Al momento di salutarsi i due
si presentano e veniamo così a sapere che il tedesco si chiama
Adolf Hitler. Una didascalia ci informa che il soldato
Hitler guarirà in breve tempo. Mentre il soldato inglese,
iniziati nel 1940 i bombardamenti della Germania
sull'Inghilterra, maledirà se stesso per non aver ucciso a suo
tempo il futuro Fuhrer.
Un film dialettico dicevamo, e infatti
sia stilisticamente che narrativamente ci troviamo di fronte a
un film per certi versi contraddittorio. Dal punto di vista
stilistico infatti il cortometraggio è una vera e propria
ricostruzione documentaristica che ci descrive un pezzo della
prima guerra mondiale. Questo realismo però, durante il corso
del film, scivola lentamente verso una sorta di iper-realismo
di stampo Hollywoodiano. Le urla e le scene di violenza sono
fin troppo eloquenti e sembrano sfociare (anche grazie agli
abbondanti effetti di post-produzione) in una deformazione
grottesca del dolore (2). Il tempo del racconto segue lo
stesso percorso e dopo i primi minuti sembra come dilatarsi,
fermarsi. Da ricostruzione minuziosa, Rosso fango si
trasforma in un film mentale e metafisico. Tutto sembra essere
deformato dall'immaginazione del soldato inglese e tutto
sembra assumere un valore universale, epico: il sangue,
le vittime, la guerra.
Dal punto di vista narrativo invece la
dialettica è rappresentata dal gesto salvifico compiuto dal
soldato inglese. Un gesto che sembra quasi incoraggiato dagli
avvenimenti sempre più drammatici e orribili che ci mostra il
regista. Un gesto che però, se in primo momento ci emoziona e
dimostra la vittoria della razionalità sull'animalità, del
perdono sulla vendetta, ecco che, subito dopo, diventa una
sconfitta, una beffa del destino.
Paolo Ameli si guarda bene dal formulare
un giudizio definitivo, quello che cerca di fare è di
spiazzarci, di lasciarci allibiti. Distrugge quelle certezze
che lui stesso aveva aiutato a mettere in piedi. Viene infatti
da pensare che, rivedendo il film una seconda volta, finiremmo
inevitabilmente per ricadere nella compassione suscitata dagli
avvenimenti. E sta qui forse il "fascino perverso" di Rosso
Fango, ovvero di portarci in un territorio tutto giocato
sui sentimenti più istintivi, più immediati, mettendo in
evidenza ciò che bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò
che è sbagliato, per poi ribaltare completamente la
prospettiva attraverso la cognizione storica. La storia del
film, "vissuta" in prima persona dallo spettatore, è costretta
così a confrontarsi con la Memoria. Lo scarto dialettico
diventa irrisolvibile.
(1) Italo Calvino, Palomar, Mondadori
Editore, Milano 1994. (2) Un tipo di grottesco che si
ricollega per certi aspetti al cinema delle origini, è infatti
più che evidente il richiamo al cinema muto attraverso
all'espressionismo dei volti e dei gesti. La citazione si
trasforma anche in un omaggio a quel cinema, visto che il
soldato inglese ricorda molto da vicino la maschera di Buster
Keaton. Lo stesso Hitler poi non può che rimandare a Charlie
Chaplin, visto che, come aveva osservato André Bazin, era
stato proprio Adolf Hitler a rubare i baffetti a Charlot.
Dunque Keaton contro Chaplin, cinema muto contro cinema
iper-realista, le coppie dialettiche, se approfondiamo
l'analisi, continuano ad aumentare. |